Quando dalla COMPOSIZIONE
sono passata all'IMPROVVISAZIONE
Scoprii e constatai che, qualsiasi cosa io avessi fatto, studiato, sperimentato (e tanto io ho fatto, studiato, sperimentato), si sarebbe poi riflesso automaticamente nelle mie opere, nella mia musica, nella mia danza, nei miei quadri.
Mi risultò quindi inutile occuparmi dell'organizzazione dei suoni, del creare o imporre relazioni ai movimenti o ai segni.
Era più giusto occuparsi dell'organizzazione di "sé stessi", della formazione di "sé stessi", del ritmo vitale, non soltanto biologico,
soprattutto antologico, se così si può dire.
Essere come danza. Essere come musica. Essere come segno.
Ritrovare, dopo un profondo studio e analisi di sé stessi, il gesto autentico, umano, essenziale: una quintessenza.
Ed avere poi il coraggio di manifestarla, semplicemente.
Compresi anche che questo "gesto" non consisteva, ovviamente, nell'intenzionalità del mio fare precedente (un "voler fare" che, peraltro, non ripudio) , e neppure nella spontaneità immediata o spontaneismo, bensì nella scelta consapevole,
dell'impulso e della sua realizzazione, sempre simultanei e osservati.
Poter essere, così all'istante stesso in cui si desidera essere, e con quella fluidità, leggerezza, agilità, controllo-padronanza, che vengono soltanto da un rigorosissimo e lunghissimo allenamento.
E allora nasce la bellezza.
La sento nascere proprio da questo coincidere con sé stessi, con un "sé stesso" che trascende l'io, i linguaggi, i tempi e che esprime elementi universalmente riconoscibili.
1973
FRANCA SACCHI